Il Giorno del Ricordo e il tributo del Cansiglio
Vogliamo celebrare il Giorno del Ricordo con l’estratto di un articolo di Diego Andreatta apparso alcuni anni fa sull’edizione online di “Avvenire”, in occasione dell’uscita del libro “Bus de la Lum. Foiba infame e discussa” di Silvano Mosetti. Le foibe fanno parte della memoria collettiva, della storia, del tributo di sangue pagato in montagna e della montagna, anche quella bellunese. Una memoria che va mantenuta viva così come quel tragico tributo. (foto a lato tratta da Wikipedia)
Non sul Carso, ma sull’altopiano bellunese del Cansiglio, già nel 1950, a guerra appena finita, le voci popolari sul brutale metodo dell’infoibamento ebbero una puntuale documentazione grazie alla “missione” di coraggiosi speleologi infilatisi negli abissi dell’orrore dietro richiesta dei parenti di soldati dispersi. A questi giovani, che portavano sull’elmetto ancora le candele e si calavano con funi di corda robuste come la loro cristiana pietà, dovrebbero riconoscenza gli storici d’ogni partito per aver fatto luce su foibe ignorate, arditi recuperanti di una memoria altrimenti rimossa. O contesa. […] Corpi ammassati sul fondo, tante cassette ossarie riempite, a documentare che non solo il Carso era stato trasformato in un campo di morte. Protagonisti dell’impresa i giovani volontari del Gruppo Triestino Speleologi che esplorarono nel Cansiglio il «Bus de la Lum», un inghiottitoio naturale profondo 180 metri, all’incrocio esatto delle province di Treviso, Belluno e Pordenone (all’epoca Udine). In due distinte spedizioni, nel 1949 nel quadro della normale attività e nel 1950 per incarico del Commissariato generale onoranze ai caduti in guerra, s’impegnarono a rispondere agli interrogativi affidati loro dai parenti degli infoibati: quante salme nascondeva, di chi erano, in quale stato giacevano. Il diario, anche interiore, di quelle operazioni di recupero si deve al presidente degli speleologi triestini, Silvano Mosetti […]. La missione, pericolosa per il rischio di frane, riuscì, ma la minaccia delle numerose bombe inesplose impedì per sempre ult eriori scavi sotto l’ammasso detritico al fondo del «Bus de la Lum». Furono riportati alla luce 28 corpi (solo 15 interi) che non erano purtroppo identificabili. È certo però a chi appartenessero quei corpi senza nome: alle vittime disperse dei combattimenti verificatisi lì quasi al termine della guerra (tra il 1944 e il 1945), quando anche la zona del Cansiglio, caparbiamente difesa dalla divisione partigiana «Nino Nannetti» per controllarla completamente, divenne campo di battaglia, «una specie di polveriera». In particolare, si riferisce di un attacco di partigiani a trenta guardie forestali – forse perché considerate di fede fascista – appostate al Passo della Crosetta. Perfino una donna incinta e un tenente dell’esercito devono trovarsi fra i cadaveri del «Bus de la Lum», secondo le voci raccolte sul posto dagli stessi speleologi e dal giornalista de Il Piccolo che nel 1949 li accompagnava. Non è escluso che anche alcune vittime dei rastrellamenti improvvisi delle SS nella zona («quindici persone, portate via sotto dai tedeschi gli occhi dei parenti, sparirono», riferì sempre Il Piccolo) furono occultate nella foiba. I nomi dei recuperati, ora custoditi nel Sacrario di Udine, non li sapremo mai. Non riconobbe suo figlio nemmeno quella mamma, che rimase lì ad aspettare per quelle lunghe giornate, come un’icona della pietà materna. […] E al momento di lasciare l’argine della foiba tolse il cappello dalla croce sulla quale l’aveva posato e lo gettò nel pozzo, perché «un alpino non può riposare in pace lontano dal suo cappello». […] Nel 1992 un’esplorazione di alcuni cunicoli laterali confermò l’esistenza di altri infoibati, dando forza alla stima di Mosetti di un numero di cadaveri «non enorme ma impensabile: un centinaio, forse».